Tecno-fobia e fascinazione 4.0 Convivenza possibile?
Il rapporto dell’uomo contemporaneo con la tecnica è una preoccupazione che da tantissimo tempo gli artisti, gli esperti dell’antropologia e della salute mentale affrontano parallelamente. “Come vivremo insieme?”
“Il latte dei sogni”, l’insieme di opere attualmente esposte alla Biennale di Venezia 2022, ci offre imperdibili spunti di riflessione sulle contraddizioni che stiamo vivendo negli ultimi anni. La forbice si apre tra le promesse della scienza e della tecnologia, la fiducia nei benefici dati dal progresso, da un lato; la paura di un’intelligenza artificiale che prenda totalmente il controllo dall’altro. Una polarità che realizziamo essersi acutizzata da quando la mediazione degli schermi è diventata indispensabile nelle relazioni umane, mostrandoci di fronte alla forza invisibile dei virus, quanto i nostri corpi siano fragili.
La tecnologia ha permesso e favorito un incremento qualitativo della vita umana ed è ormai alla base del progresso della nostra conoscenza e dell’avanzamento della nostra civiltà; tuttavia, a partire dal secolo scorso, è divenuto sempre più evidente il rischio di un mutamento nel ruolo della tecnica, quale meccanismo autonomo che può sfuggire al controllo dell’uomo e non più uno strumento nelle sue mani.
E se fosse questo scarto così profondo a cui assistiamo, questo mix tra naturale e meccanico, questa fantasticheria post-umana, ad aver risvegliato nella nostra società delle paure così profonde ed arcaiche? Il sentimento di diffidenza, misto a nostalgia per i bei tempi passati, risulta umanamente condivisibile da molti, ma quando lo scetticismo nei confronti della tecnologia raggiunge livelli significativi, il gap intergenerazionale a cui assistiamo non fa altro che incrementare.
La parola tecnofobia deriva da due termini greci (technē, cioè arte/tecnica, e phobos, cioè paura), letteralmente “paura per le tecnologie”
Ecco che la resistenza alla digital trasformation impatta in maniera rilevante sull’inclusione sociale dell’individuo, influendo sul grado di soddisfazione lavorativa percepita e sullo stress lavoro correlato. Cos’è la tecnofobia? La parola tecnofobia deriva da due termini greci (technē, cioè arte/tecnica, e phobos, cioè paura), letteralmente “paura per le tecnologie”.
Ad usare questo termine per la prima volta negli anni ’70 fu Larry Rosen, psicologo californiano, definendola come: “uno stato d’ansia attuale o relativo a futuri usi del computer o tecnologie ad esse correlate, attitudini globali negative nei confronti del mezzo e delle operazioni che permette e dell’impatto sociale delle stesse, dialogo interno critico e negativo durante l’utilizzo o al solo pensiero di usarlo” (Larry & Maguire, 1990).
Sentire di essere tecnofobico non vuol dire essere malato o meno capace, non è qualcosa di cui vergognarsi. Tutti facciamo uno sforzo per stare al passo con la tecnologia, cambia solo il grado di fatica percepito nel tenersi aggiornati
Non stiamo parlando di percentuali trascurabili: recenti studi epidemiologici dimostrano come circa un terzo della popolazione nei Paesi industrializzati soffra di ansia da computer, mentre le percentuali si aggirano intorno al 5% per i tecnofobici veri e propri. Le donne sembrerebbero soffrirne maggiormente, sebbene questo sbilanciamento di genere stia svanendo nelle ricerche più recenti.
Recentemente Il DSM-5 include la Tecnofobia menzionandola tra le fobie specifiche, sottoinsieme della categoria dei disturbi d’ansia. Oltre ad incidere notevolmente sul benessere individuale, questo disturbo ha un impatto rilevante sull’inclusione sociale dell’individuo, nonché sullo stress lavoro correlato e sul grado di soddisfazione lavorativa percepita.
Quali sono i sintomi? Sentimenti di paura e in casi estremi di terrore, angoscia, ansia, palpitazioni, sudorazione, difficoltà di respirazione, irrequietezza. Con precisione, nel 1993 Rosen individua 3 tipologie di tecnofobici ordinati per gravità: • “Tecnofobici scomodi”, coloro che non si trovano a loro agio con le tecnologie; • “Tecnofobici cognitivi”, coloro che pensano di avere scarse capacità e ciò incide poi sulle loro prestazioni e sulle loro attitudini; • “Tecnofobici ansiosi”, coloro che sperimentano uno stato ansiogeno legato al solo pensiero di usare il computer o tecnologie affini.
Come prendersene cura? Esistono corsi specifici che possono aiutare l’individuo ad imparare e gestire le nuove tecnologie ad oggi risultano così utili: sessioni di utilizzo delle tecnologie supportate da tutors, oppure programmi di azzeramento informatico. Nel caso di una sintomatologia persistente il supporto psicologico può essere un aiuto necessario. La psicoterapia risulta essere molto efficace in particolar modo quando il trattamento include l’apprendimento di abilità di coping, un lavoro sul senso di autoefficacia, l’utilizzo di strumenti di consapevolezza come la mindfulness o tecniche di rilassamento volte ad agevolare la gestione dell’ansia.